La lingua parlata

La lingua giapponese è una lingua affascinante. 


E, per quanto possa sorprendere, non è così difficile come si potrebbe abitualmente pensare! (almeno fino a un certo livello)


Con un anno di corso si possono già sostenere piccole conversazioni che interessano la nostra quotidianità e si puo’ già essere in grado di muoversi in Giappone con agilità leggendo i cartelli e/o chiedendo informazioni.

Questo per una serie di motivi:
1) il giapponese ha una certa assonanza con la nostra lingua, perché quasi tutte le consonanti e tutte le vocali si pronunciano come in italiano (non presenta quindi tanti suoni vocalici come, ad esempio, il francese)
2) la struttura della frase di base è molto schematica e ha sempre lo stesso ordine (Soggetto, complementi vari e verbo alla fine, simile a quella latina)
3) molte parole le conoscete già senza rendervene conto (sushi, sashimi, samurai, manga, …)
4) alcune parole sono facili da imparare perché derivano dall’inglese. Ad es. nekutai sta per neck-tie (cravatta in inglese) e walk-man è una parola giapponese e non inglese!!
5) oggigiorno è molto facile reperire materiali audio-visivi in lingua per entrare nelle sonorità della lingua giapponese anche prima di intraprendere un viaggio nel Paese del Sol Levante
6) i giapponesi sono molto pazienti e cortesi, quindi attenderanno che voi abbiate terminato la frase prima di intervenire (e di solito sono deliziati all’idea che qualcuno stia cercando di imparare la loro lingua e vi guarderanno con estrema benevolenza). Questi sono solo alcuni dei motivi per cui vale la pena imparare questa bellissima lingua, ma aspettiamo di entrare un pochino più nel vivo!!

La lingua scritta
Il giapponese scritto si basa essenzialmente su tre sistemi di scrittura fortemente dipendenti l’uno dall’altro.

Per approfondire la lingua giapponese e giungere a leggere con scioltezza è indispensabile conoscerli tutti e tre. Ciononostante un primo approccio alla lingua ci porterà a conoscere prima di tutto il sistema sillabico chiamato hiragana. Questi sono dei segni con solo valore fonetico. Sono cioè come il nostro alfabeto e non racchiudono un significato o un’immagine immediata di per sé, come è invece nel caso degli ideogrammi (o meglio, kanji).

Gli hiragana si imparano in poche lezioni e in poco tempo si comincia a poter scrivere in giapponese semplici frasi di significato. Ciononostante, come accennavo, i sistemi sono tre, e tutti e tre indispensabili per una completa e migliore comprensione della lingua scritta. Come vedremo nel breve approfondimento successivo, ognuno di questi sistemi serve a esplicitare una determinata parte della frase. Per cui, gli hiragana servono per le desinenze dei verbi e le particelle dei complementi. I katakana per traslitterare le parole di origine straniera (anche i nostri nomi propri, quindi) e per scrivere le onomatopee. I kanji si usano per le parti di significato all’interno della frase. Quindi la frase: “Bevo un succo d’arancia” può essere scritta nei seguenti 3 modi

  • uno
  • due
  • tre

Per approfondire
La lingua giapponese è una lingua polisillabica e agglutinante, con un sistema fonetico non distante dalle assonanze della lingua italiana (il sistema costante di 1 consonante + 1 vocale garantisce una lingua musicale e dai suoni ampi, come quella italiana). Agglutinante significa che essa è composta da elementi grammaticali riconoscibili e a sé stanti, per cui ogni forma verbale è scomponibile in sottogruppi costanti e omogenei.

 Ad esempio, nomimono (bevande) può essere scomponibile nel verbo nomu (bere) + mono (cosa). Oppure, lo stesso verbo nomu, mantenendo la stessa radice e aggiungendo dei suffissi, può diventare: nomanai (non bevo), nomanakatta (non bevvi), nomenai (non posso bere)… Nella lingua giapponese è riconoscibile un sistema grammaticale riassumibile in Soggetto+Oggetto+Verbo (gli eventuali altri complementi si inseriscono solitamente tra Soggetto e Oggetto).

Data l’importanza del verbo all’interno di ogni lingua, per la piena comprensione del discorso in giapponese è indispensabile, quindi, pazientare e giungere alla fine della frase prima di ribattere al nostro interlocutore (il che dice molto sulla mentalità giapponese e sull’approccio nipponico al dialogo). Il verbo, anch’esso agglutinante, racchiude infatti in un’unica parola informazioni sul tempo dell’azione, il modo, nonché il livello relazionale della conversazione (ossia sul tipo di rapporto che il nostro interlocutore sta instaurando con noi: se sta mantenendo, cioè, un rapporto informale, cortese o fortemente formale).

Si coglie, quindi, il peso esercitato dalla gerarchia, in particolare, nella scelta dei verbi e delle loro desinenze, nonché di parole, prefissi e suffissi onorifici. La scrittura compare in Giappone all’introduzione dei caratteri ideografici cinesi (kanji) nel V sec. d.C., giunti grazie ai testi buddisti in arrivo dalla Corea.

I kanji sono stati in principio utilizzati per scrivere solamente il cinese, ma col tempo sono stati adattati alla lingua giapponese che iniziava a sentire la necessità di lasciare testimonianze scritte. L’adattamento è avvenuto con non poche difficoltà dato che la lingua giapponese è foneticamente molto diversa dalla monosillabica lingua cinese. Per risolvere queste discrepanze fonetiche e grammaticali, a partire dai kanji stessi sono stati elaborati dal IX secolo d.C. due sistemi fonetici (i kana) che potessero supplire alle mancanze di una scrittura non indigena. Si è sviluppato nel tempo un sistema misto che utilizza i kanji per le parti di significato (ossia per tutte quelle parti che rappresentano un concetto, concreto o astratto, siano nomi, avverbi, radici degli aggettivi e dei verbi) e gli hiragana per i suffissi verbali o aggettivali (le desinenze) e gli altri elementi grammaticali (come le particelle che indicano il soggetto, i complementi, etc).

I katakana, infine, sono ora utilizzati per traslitterare le parole di origine straniera e le onomatopee.

Va ricordato che questo sistema misto, terrore di molta parte degli studenti di giapponese alle prime armi, è stato sviluppato per alleggerire una lingua così ricca di omofoni e particelle, e non per appesantirla! La conversazione e la lettura quotidiana prevede una conoscenza di base di almeno 3.000 kanji.

Si stima che il totale dei kanji sia, però, di circa 50.000(!), ma a lista ufficiale degli joyokanji ne conta circa 2.000 e vengono insegnati alle elementari in Giappone. Con un po’ di esercizio e lettura, si imparano tutti e non si scordano più!